Parlare di pasta non è solo una questione di cucina, ma molto di più. Questo piatto, infatti, incarna insieme alla pizza un vero e proprio tratto distintivo nazionale
In principio erano lasagne e maccheroni. Non nel senso che oggi conosciamo, ma come termini per definire l’alimento italiano più conosciuto nel mondo insieme alla pizza. Makaronia (termine etrusco, magnogreco e italico che significa “cibo beato”) o Laganon (termine greco che indicava un impasto di acqua e farina tirato e tagliato a strisce): così era conosciuta agli albori la pasta. Quella di origine italica, almeno. Perché nello stesso periodo storico la produzione di un’altra tipologia di pasta si stava sviluppando a 7.500 km di distanza, in Cina.
Il primo punto da definire quando si parla di pasta, infatti, è proprio questo. Ne esistono di due tipi, entrambe con una lunghissima tradizione alle spalle e frutto di due culture gastronomiche differenti, parallele e sviluppatesi in maniera indipendente: quella italiana e quella cinese. Un punto non da poco, visto che la confusione di questi due mondi per secoli rimasti non comunicanti ha creato dei veri e propri falsi storici facendo più danni che altro.
Quella di cui vogliamo parlare è la pasta italiana. Conosciuta, amata e diffusa in tutto il mondo. Alimento cult, icona popolare, soggetto cinematografico e artistico in generale, elemento di identità nazionale e fondamento di una delle cucine più apprezzate in assoluto. Ma anche oggetto di polemica, spesso furiosa, e talvolta utilizzato addirittura come vezzeggiativo sprezzante.
LE ORIGINI DELLA PASTA
La pasta era già conosciuta ai tempi della Magna Grecia e dell’Etruria, cioè a partire dal IX secolo a.c. In quest’epoca, come accennato, viene indicata con i termini Makaronia o Laganon. Uno dei ritrovamenti più antichi è la raffigurazione di strumenti come spianatoie, mattarelli e rotelle per tagliare all’interno di una tomba etrusca risalente al IV secolo a.c. nei pressi di Cerveteri. Ma di pasta scrivono anche autori classici greci e latini come Aristofane e Orazio, descrivendo le cosiddette laganae come delle fettuccine un po’ tozze realizzate spianando un impasto di acqua e farina e cuocendole in forno nel loro condimento. Poco più tardi, il gastronomo latino Apicio inserisce questo tipo di pasta nel suo “De re coquinaria”.
Informazioni ancora più precise si ritrovano alcuni secoli più tardi negli scritti del poeta arabo Ziryab che nell’anno 852 descrive impasti di acqua e farina molto diffusi nella Sicilia musulmana che sembrano gli antenati dei vermicelli o degli spaghetti. Questo documento, peraltro, sgombra il campo dalla tesi secondo la quale gli spaghetti sarebbero stati importati in Italia da Marco Polo, di ritorno dalla Cina. Altre testimonianze successive collocano la produzione e il consumo di pasta in altre zone della penisola, da nord a sud. La pasta, insomma, si produce in tutta Italia fin dal basso Medioevo.
Questo alimento nel corso del tempo e grazie agli scambi commerciali muta e si evolve. In epoca medievale arrivano due innovazioni fondamentali. Da una parte viene introdotto il metodo di cottura tramite bollitura in acqua, che affianca quella nei forni. Dall’altra viene inventata la pasta secca, che rende questo alimento più duraturo di quello fresco realizzato con acqua e farina o con uova e farina. Ad introdurre questa innovazione sono con ogni probabilità gli arabi, che hanno bisogno di un prodotto in grado di conservarsi più a lungo per essere trasportato durante gli spostamenti nel deserto.
LA PASTA NEL MEDIOVEVO
Nel Medioevo sorgono nelle principali città italiane le prime vere botteghe per la preparazione della pasta, che nel frattempo trova nuove forme. Nei laboratori di Napoli, Genova, Palermo, Roma, della Toscana e della Puglia si producono paste forate (rigatoni, penne, bucatini) e paste ripiene (tortellini, ravioli e agnolotti). Le prime, in special modo, sono essiccate e sono perfette per affrontare le lunghe spedizioni in tutta Europa, verso il Nord Africa e il Medio Oriente. Intorno al 1300 nascono le prime Corporazioni di Pastai Italiani e la pasta entra di diritto in tutti i manuali di cucina dell’epoca come piatto principe della gastronomia italiana: le ricette riportano i metodi di preparazione e di cottura, i condimenti.
LA GALASSIA PASTA
Con la nascita dei primi pastifici e con la successiva industrializzazione dei processi, a partire dall’800, la pasta subisce un processo di progressiva e ulteriore diversificazione. Dire pasta, infatti, è riduttivo. I diversi tipi di pasta italiana si distinguono principalmente in base alla forma, al tipo di farina utilizzato, all’essere fresca o secca, al metodo di cottura (asciutta o in brodo), alla presenza dell’uovo o del ripieno nell’impasto.
Tra le paste lunghe se ne possono trovare a sezione tonda (bigoli, busiate, spaghetti, vermicelli solo per citare i principali tipi), a sezione quadrata (spaghetti alla chitarra, ciriole), a sezione rettangolare (bavette, linguine, scialatielli e trenette). C’è po la pasta in nidi o matasse (fettuccine, lasagne, pappardelle, pinzocheri, strangozzi, tagliatelle e tagliolini) e la pasta tubolare (bucatini, calamarata, cannelloni, cavatappi, fusilli, Garganelli, maccheroni, naccheri, penne e rigatoni, sedani, tortiglioni e ziti). Lungo anche l’elenco delle paste corte (anelletti, casarecce, cavatelli, conchiglie, farfalle, fusilli, gnocchi, lanterne, malloreddus, maltagliati, orecchiette, pipe, strozzapreti, testaroli, trofie).
Poi c’è da considerare la cosiddetta pasta minuta (acini di pepe, cascà, ditalini, fregola, stortini, manfrigoli). Per entrare quindi nell’universo della pasta ripiena (agnolotti, agnellini, cappelletti, casoncelli, cjarsons, culurgionis, ravioli, pansotti, mezzelune, tortelli, tortellini e tortelloni).
Insomma un turbine di tipologie, specificità e varianti che fanno spaziare per tutta la penisola a cavallo tra una regione e un’altra, tra le diverse province e i singoli territori. Va ricordato che esiste un elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani, istituito dal Ministero delle politiche agricole e alimentari, all’interno del quale troviamo le seguenti tipologie di pasta: Pasta col ferretto (Calabria), Pasta di Gragnano (Campania), Malloreddus (Sardegna), Scialatielli (Campania), Pici (Toscana), Pizzicotto (Lazio), Trofie (Liguria), Bigoli (Veneto), Orecchiette e Strascinati (Puglia), Sagne (Salento) e Spaghetti alla Chitarra (Abruzzo).
PRODUZIONE E CONSUMO DELLA PASTA IN ITALIA E NEL MONDO
Va premesso che la pasta alimentare è un alimento normato da un apposito regolamento emanato da un decreto del Presidente della Repubblica, in cui vengono fissati gli ingredienti e i principali parametri (in particolare il tipo di grano e di farina, l’umidità, le proteine e l’acidità massima). A livello normativo la pasta si diversifica tra quella secca, quella fresca e quella all’uovo.
Tra queste tre categorie la pasta secca costituisce i tre quarti dei consumi totali. Viene prodotta con la tecnica particolare della estrusione (un processo che consiste nel forzare per compressione un materiale allo stato pastoso passandolo tramite una sagoma) attraverso filiere in bronzo, della successiva laminazione e del conseguente essiccamento. Gli impasti sono preparati con farina di semola di grano duro e acqua.
Per quanto riguarda i volumi di produzione di pasta italiana nei sei principali Paesi produttori (nell’ordine Italia, Stati Uniti, Iran, Francia, Argentina e Canada) se ne sfornano circa 7,5 milioni di tonnellate all’anno. L’Italia è nettamente al primo posto con quasi 4 milioni di tonnellate annue. A produrle, se escludiamo i piccoli pastifici a lavorazione artigianale, ci sono 139 pastifici di cui 58 nel Nord (principalmente Lombardia e Liguria), 30 nel Centro (principalmente Emilia Romagna e Toscana) e 51 al Sud (principalmente in Campania e Puglia). Il 62% della pasta prodotta in Italia è destinata al mercato estero, tanto che si stima che un piatto di pasta su quattro consumato nel mondo è fatto con prodotto italiano.
Il settore pasta in termini economici vale in Italia quasi 5 miliardi di euro, il 3,5% del fatturato annuo nazionale dell’industria alimentare. Il grano utilizzato per la produzione annuo è per il 68% italiano e per il 32% proveniente dall’estero.
L’Italia, tuttavia, rimane il primo Paese anche per consumo pro capite. Secondo l’International Pasta Organization, infatti, il Belpaese è al primo posto con 23,5 kg di pasta consumati annualmente. A seguire troviamo la Tunisia (17 kg), il Venezuela (15 kg), la Grecia (12,2 kg), il Perù (9,9 kg). Quindi gli Stati Uniti (8,8kg), l’Argentina (8,6 kg), l’Iran (8,5 kg) e la Francia (8,3 kg).
PASTA E POLEMICHE
Parlare di pasta non è solo una questione di cucina, ma molto di più. Questo piatto, infatti, incarna insieme alla pizza un vero e proprio tratto distintivo nazionale. Una sorta di minimo comune denominatore che rende tale un’italiano, più del passaporto o della cittadinanza stessa. E toccare questa corda, specie se sono dita estere a farlo, significa alimentare polemiche a non finire. Non solo nei bar o nelle piazze, ma spesso anche nelle aule del Parlamento.
Una delle ultime in ordine di tempo è quella alimentata sulle colonne del Financial Times, importante quotidiano economico-finanziario inglese, attraverso un’intervista fatta ad Alberto Grandi, storico dell’alimentazione e docente all’università di Parma. In sostanza il professore ha cercato di sfatare alcuni miti sui prodotti gastronomici italiani tirando in ballo dei veri e propri mostri sacri della cucina della penisola. Parmigiano, pizza, panettone e tiramisù, fino alla carbonara. Alberto Grandi ha affermato che quest’ultimo piatto non sarebbe nato nel XVIII secolo per nutrire i carbonai in Italia appunto, ma durante la seconda guerra mondiale per sfamare i soldati americani con ingredienti che poco avevano a vedere con quella entrata poi nella tradizione.
Apriti cielo. A commentare stizzita l’intervista del Financial Times tutte le principali associazioni di categoria del settore, a partire dalla Coldiretti che ha parlato addirittura di possibili conseguenze negative sull’economica italiana.
Ma alimentare polemiche attraverso la pasta non è certo un’abitudine recente. Basti ricordare, su tutte, la foto di copertina pubblicata nel 1977 dal settimanale tedesco Der Spiegel in cui si vedeva una pistola dentro un piatto di spaghetti. Un’immagine esplicita che richiamava lo stereotipo dell’italiano mafioso e mangiatore di spaghetti.
LA RICETTA DELLA PASTA PERFETTA
Uscendo fuori dalle polemiche proviamo a stilare un elenco di semplici regole per preparare al meglio un piatto di pasta.
L’acqua nella pentola non va messa a caso. La porzione giusta è di 1 litro di acqua ogni 100 gr di pasta.
La pentola giusta per quasi tutti i formati di pasta è quella cilindrica con i bordi alti. Per la pasta corto o per la pasta fresca, invece, serve un recipiente basso e largo.
Il sale va aggiunto nell’acqua dopo che questa questa ha iniziato a bollire.
Per quanto riguarda il tempo di cottura ogni tipo di pasta e di marca ha il proprio. In ogni caso è giusto sapere che se per la pasta fresca la giusta cottura avviene quando la pasta viene a galla.
L’ultimo segreto per non far attaccare la pasta sul fondo è quello di aggiungere un filo d’olio all’acqua.
Tutto il resto è un fatto di gusto e di stagionalità. Sui modi di condire influiscono, infatti, fattori come la reperibilità degli ingredienti, la tradizione, la tipologia che meglio si abbina ad un determinato sugo. Ma soprattutto le preferenze di palato di ciascuno e ciascuna.