Nel cuore delle colline delle Marche una cooperativa di amici ha dato vita al progetto di recupero e salvaguardia di questa piccola leguminosa. Un legume storicamente legato all'alimentazione contadina che rischiava di sparire per sempre
SERRA DE' CONTI (Ancona). Nel cuore delle affascinanti colline marchigiane, precisamente a Serra De' Conti, una cooperativa di amici appassionati dalla cultura enogastronomica ha dato vita a un progetto incredibile volto a preservare le tradizioni culinarie locali. La Bona Usanza, nata nel 1996, fin dagli esordi si è impegnata al recupero e alla “salvaguardia di tipicità culinarie a rischio di estinzione”, ci spiega Marco Simonetti, un membro della cooperativa. In questo contesto spicca la cicerchia, un “legume storicamente legato all’alimentazione contadina marchigiana, quale eccellenza gastronomica da recuperare. Molti dei fondatori inizialmente erano soci della prima ora di Slow Food” e condividono da sempre i valori e la mission dell'organizzazione conosciuta a livello nazionale. È in quegli anni che Carlo Petrini lancia il progetto dell’Arca del Gusto, poi evoluto nei Presidi Slow Food.
La cooperativa decide di focalizzarsi sulla Cicerchia, un legume che rischiava di cadere nell'oblio, poiché “se ne era oramai pressochè persa la memoria”. Al fine di rilanciarla, vengono ideate numerose iniziative coinvolgenti, a partire dalla più conosciuta “Festa della Cicerchia” che, ormai, è alla 23esima edizione nel centro storico di Serra de’ Conti alla fine del mese di novembre. L’evento attira migliaia di sostenitori appassionati desiderosi di assaggiare l’antico legume nelle numerose locande disseminate nel borgo storico.
La Cicerchia (Lathyrus sativus) è un legume che affonda le proprie radici storiche nel Medio Oriente, è stato infatti introdotto dagli antichi greci nel bacino del Mar Mediterraneo. Fin dai tempi dell'Antica Roma è considerata un ingrediente centrale delle pietanze più saporite, conosciuta con il nome di "cicerula". Per secoli questo legume ha costituito un importante fonte di proteine per i contadini del centro-sud Italia, consumato principalmente in minestre e zuppe. Dal punto di vista agronomico, cresce bene anche in terreni marginali ed è piuttosto resistente alla siccità.
A livello visivo, la cicerchia de La Bona Usanza si presenta particolarmente minuta, avvolta da una buccia sottile e colorazione che va dal grigio al marrone maculato. Se posta a confronto con le altre varietà presenti sul territorio, sono sufficienti otto ore di ammollo per garantire un sapore delicato, ottimale per le zuppe, la purea con le erbe di campo, a condire la pasta insieme a guanciale e rosmarino oppure, ancora, da accostare a piatti di pesce, ad esempio lo stoccafisso. Insomma, decisamente versatile!
Come funziona, dunque, la coltivazione e la produzione della cicerchia?
“Nel nostro territorio la cicerchia viene seminata per tradizione il centesimo giorno dell'anno, nella prima decade di aprile”, ci spiega Marco, come un affascinante rito che celebra la connessione tra uomo e natura. Tuttavia, negli ultimi anni caratterizzati da una forte crisi climatica “questa tempistica non viene sempre rispettata e spesso capita di dover anticipare la semina al mese di marzo”. A prescindere dal momento dell’anno in cui si svolge la raccolta, la coltivazione della cooperativa abbraccia un approccio agronomico a basso impatto ambientale. Si tratta di un approccio interessante che tiene conto della sostenibilità ambientale, cercando di ridurre l'inquinamento e promuovere la biodiversità, “perché crediamo nell'armonia tra bontà e sostenibilità”, ci tiene a sottolineare. Da un punto di vista concreto, “le eventuali piante infestanti vengono rimosse manualmente e comunque senza utilizzo di erbicidi”.
Per quanto riguarda la fase di raccolta, invece, si tiene nel mese di luglio. Una volta raggiunta la seccatura, si procede con la falciature e le piante vengono disposte in cumuli longitudinali e lasciate alcuni giorni al sole per garantire la completa essiccazione del seme. Infine, si procede con la trebbiatura e con l’assegnazione del prodotto in cooperativa, dove il seme viene pulito servendosi di un vagliatore meccanico che consente di separare i corpi estranei (residui di baccello, sassolini, terra) dal seme. Una volta ottenuto il seme pulito si procede al trattamento in atmosfera protettiva con anidride carbonica per eliminare l'eventuale presenza di un coleottero (acanthoscelides obtectum) che parassita i semi della cicerchia, scavando gallerie al suo interno. Una volta terminato il trattamento di due o tre settimane in anidride carbonica, si procede con un ultimo controllo manuale dei semi e, finalmente, al confezionamento per la commercializzazione.
I “padri fondatori” della cooperativa vantano esperienze assai variegate. “Gianfranco Mancini può essere considerato l’ispiratore de La Bona Usanza - spiega ancora Marco Simonetti - un ex insegnante di lettere appassionato di enogastronomia ed una persona di grande cultura. Dopodichè abbiamo l’imprenditore calzaturiero Francesco Peverieri, un altro socio che ha sposato con entusiasmo il progetto e che, dal 1996, coltiva con passione e professionalità la cicerchia ed altre leguminose. Grazie a loro è stato possibile coinvolgere altri soci provenienti da diversi ambiti professionali ma accomunati da uno spirito di amicizia e di autentica passione verso il territorio. Circa 10 anni fa, dopo varie esperienze a livello universitario e lavorativo, sono entrato anch’io a far parte della cooperativa raccogliendo il testimone dei soci fondatori e cercando di portare avanti con passione e dedizione la mission originaria dell’azienda”.
La filosofia è guidata dalla volontà di dare una nuova vita al territorio, partendo dalla salvaguardia delle produzioni che rischiano di svanire fino ai valori radicati nella cultura alimentare marchigiana. La Bona Usanza è custode delle "tradizioni" e della "cucina povera", ma non si ferma qui: la sfida è quella di difendere tutti i giorni gli autentici tesori dell'artigianato gastronomico dalle influenze della grande industria capitalistica. In un'era dominata da prospettive alimentari innovative, la risposta risiede nella tradizione e i legumi, con la loro straordinaria ricchezza nutrizionale, possano diventare protagonisti indiscussi. “Le piccole realtà come la nostra - sottolinea Marco Simonetti - sono fortemente radicate nel territorio e fautori di un’agricoltura che rispetta gli equilibri pedologici, possono essere un modello alternativo ad un settore primario improntato solamente allo sfruttamento del suolo, al depauperamento delle risorse, all'utilizzo indiscriminato della chimica e che a ben vedere assomiglia più all'industria che all'agricoltura”.
Per concludere la chiacchierata, abbiamo chiesto a Marco quali sono i progetti per il futuro della cooperativa. “Attualmente stiamo concludendo un interessantissimo progetto di ricerca con l'Università di Ancona (facoltà di Agraria – Prof. Stefano Tavoletti) per lo studio della consociazione tra leguminose e grani antichi. Si tratta di un metodo agronomico molto antico che prevede la coltivazione nello stesso terreno e simultaneamente di legumi e cereali. Il legume, come sappiamo, è in grado di fissare azoto nel terreno e di questo ne beneficia il cereale che si arricchisce dal punto di vista nutrizionale”.
In termini semplici, il legume si ‘appoggia’ al cereale al fine di beneficiare della protezione contro le infestanti, incrementando la resa di entrambi rispetto alla coltura pura. La Bona Usanza vorrebbe introdurre, quindi, questa metodologia agronomica. “Stiamo inoltre riscoprendo il mondo delle erbe spontanee, da sempre presenti nella dieta contadina marchigiana ed estremamente interessanti dal punto di vista nutrizionale e salutistico”. In particolare hanno creato Il Giardino delle Erbe Buone, un piccolo orto botanico di fronte alla sede, fruibile da chiunque sia interessato.
Non c’è altro da aggiungere se non l’invito a lasciarsi affascinare da questa piccola leguminosa che ha conquistato cuori e palati nel corso dei secoli.
Vorrei ricordare una persona che ci ha creduto tanto,quando non ci si ricordava neppure cosa era cicerchia,una persona a me cara che ha iniziato a coltivarla fra i Primi,GIANNI PIERGIOVANNI, non dimenticatevi di queste persone.Poi debbo dire che è speciale,si cuoce benissim.... e complimenti a tutti quelli che hanno proseguito questa tradizione.