Le origini risalgono agli albori della storia umana, oggi i birrifici artigianali nel mondo sono oltre 17mila (700 in Italia). Un mercato che cresce ogni anno senza sosta
Le sue origini risalgono agli albori della storia umana, almeno 7mila anni fa. La civiltà sumera aveva addirittura ricavato nel proprio pantheon una divinità patrona della sua produzione, Ninkasi. Compare nell’Epopea di Gilgamesh, la più antica opera letteraria conosciuta e risalente alla civiltà babilonese. Ci sono studiosi - come l’antropologo Alan Eames - che sostengono persino che sarebbe stato proprio per coltivare gli alimenti necessari alla sua produzione che i primi gruppi nomadi sarebbero stati spinti a diventare sedentari.
Stiamo parlando della birra. E in particolare di quella che viene definita “birra artigianale”, in aperta contrapposizione con la cosiddetta “birra industriale”. Un prodotto con una storia millenaria, divenuto negli ultimi decenni fenomeno commerciale in continua crescita ed evoluzione proprio grazie alla riscoperta di metodi e tecniche di produzione artigianali.
Quando si parla di birra artigianale si intende generalmente una birra che non viene sottoposta a processi industriali, come pastorizzazione e microfiltrazione, e che viene prodotta da piccoli birrifici indipendenti in quantità non superiori a certe soglie (in Italia la produzione annua non deve superare i 200mila ettolitri). Le tipologie sono moltissime e variano a seconda degli ingredienti utilizzati e delle tecniche di realizzazione. Sono decine di migliaia i birrifici artigianali in tutto il mondo, oltre 800 solo in Italia. Un dato in costante aumento, così come la platea di consumatori. Al netto dei grandi marchi - i primi dieci assorbono il 68% della produzione totale - il fenomeno della birra artigianale sta vivendo un fermento mai visto, specie negli Stati Uniti e in Europa.
UN PO' DI STORIA DELLA BIRRA ARTIGIANALE
L’origine della birra artigianale è l’origine della birra in generale. Impossibile, infatti, fare delle distinzioni storiche se non a partire dalla rivoluzione industriale. È solo tra il XVIII e il XIX secolo che si affermano processi produttivi industriali anche per la birra e i due percorsi - quello “industriale” e quello “artigianale” - per così dire si dividono.
La birra, come dicevamo, nasce almeno 7mila anni fa. Se ne trovano tracce scritte su testi mesopotamici ed egizi (anche se non vanno dimenticate le scoperte risalenti più o meno allo stesso periodo in Cina), mentre alcuni test chimici effettuati su delle brocche antiche ritrovate nel territorio dell’attuale Iran dimostrano la produzione di birra già dal V millennio avanti Cristo. La prima ricetta per realizzare la birra, a partire dall’orzo per mezzo del pane, è contenuta su una tavoletta sumera che risale al II millennio. Addirittura il celebre Codice di Hammurabi prevede norme sulla sua fabbricazione e introduce sanzioni per chi non ne rispetta i criteri, ad esempio per chi la annacqua o apre locali senza autorizzazione.
La diffusione della birra nell’antichità ha numerose attestazioni scritte e non solo. Greci, etruschi e romani - per quanto pare che preferissero il vino - ne sono assidui consumatori. Anche se i veri artefici della sua esplosione in Europa sono le tribù germaniche e celtiche. Tanto che nel Medioevo è una delle bevande più diffuse in assoluto. In particolare nei Paesi del Nord Europa se ne stima un consumo pro capite di circa trecento litri annui. Si tratta ancora di un’attività principalmente casalinga, anche se a partire dal XIV secolo iniziano a produrla in forma artigianale i primi pub e anche i monasteri. Una tradizione resa celebre in seguito dall’ordine monacale trappista, che nelle proprie abbazie situate in Belgio crea un particolare e apprezzato metodo di fabbricazione. Proprio in questi anni, inoltre, viene regolamentato da un decreto dell’imperatore Carlo IV l’utilizzo del luppolo come aromatizzatore, seppure il suo impiego sia già diffuso.
È nella seconda metà del ‘700, grazie ad alcune scoperte come il termometro e il densimetro e successivamente il lievito ad opera di Louis Pasteur, che avviene la prima industrializzazione della birra. Un processo che subirà una progressiva implementazione appunto tra XIX e XX secolo, con una vertiginosa polarizzazione dei birrifici: sempre meno e sempre più grandi. In questi decenni la produzione industriale provocherà anche una sempre maggiore standardizzazione dei gusti.
IL MOVIMENTO "CRAFT"
È in risposta a tali fenomeni che sul finire degli anni 70 del Novecento nasce il cosiddetto movimento “Craft”. Negli Stati Uniti prima e in Europa poi cominciano ad aprire i primi piccolissimi birrifici, che producono attraverso tecniche artigianali e si rivolgono ad una clientela di nicchia e sicuramente più attenta.
La cosiddetta “Renaissance Americana” spalanca le porta alle potenzialità della birra artigianale, creando una vera e propria cultura della birra. Vengono pubblicate opere sulla sua degustazione, la gastronomia si avvicina finalmente a questo mondo, sorgono locali specializzati. Al centro di questa rinascita ci sono i malti prodotti oltreoceano e i luppoli americani, in particolare il Cascade, dalle forti note aromatiche e agrumate. Tra i maggiori innovatori c’è Charlie Papazian, ingegnere nucleare e homebrewer, che in quegli anni fu tra i fondatori della American Homebrewer Association e della Brewers Association, entrambe confluite nel 2005 all’interno della Brewers Association, della quale lo stesso Papazian è oggi presidente.
Ma in quegli anni in California cominciano a produrre Fritz Maytag nel suo Anchor Brewing e Jack McAuliffe nel New Albion. Pochi anni più tardi è la volta del Sierra Nevada Brewing Company, fondato da Ken Grossman e Paul Camusi. Jim Koch fonda la Samuel Adams, poi chiamata Samuel Adams Boston Lager e successivamente confluita nel Boston Brewing.
È, tuttavia, nei primi anni ’90 che il concetto di birra artigianale esce dalla nicchia e conquista via via fette di mercato sempre più ampie. Negli Usa si apre la seconda fase della rinascita con l’utilizzo di luppoli ancora più forti e aromatici, che originano nuove birre come le Double IPA e le Imperial IPA. Ma allo stesso tempo vengono recuperati e rimodellati vecchi stili di birra quasi persi, come Berliner Weisse, Kolsh e Rauchbeer. Nel frattempo anche in Europa il fenomeno dei piccoli birrifici artigianali, fino ad allora appannaggio di pochi pionieri (tra cui l’inglese Peter Austin), prende campo.
In Italia l’anno magico è il 1996, quando ai già esistenti Beba (Torino), Turbacci (Roma), Centrale della Birra (Cremona) e Vecchio Birraio (Padova) si affiancano tre birrifici in grado di dare una svolta importante a questo settore: Baladin (Cuneo), Birrificio Italiano (Como) e Birrificio Lambrate (Milano). Da allora il movimento non si è più arrestato e ha continuato a crescere fino agli 800 piccoli produttori attuali.
COME SI FA LA BIRRA ARTIGIANALE?
Il processo di produzione della birra consta di ingredienti, metodi e tradizioni diversi. Per quanto riguarda i primi, ci sono ovviamente l’acqua, i cereali (il malto d’orzo è il più utilizzato, ma vengono usati anche malti di grano o miscele), gli additivi aromatici (il principale è il luppolo, ma si utilizzano anche frutta, piante come canapa, rosmarino, castagna o tabacco o ancora spezie oppure elementi come miele e mosto d’uva) e il lievito, che può essere ad alta o a bassa fermentazione.
Il processo di produzione prevede che venga immerso il cereale scelto in acqua calda, dove gli amidi vengono convertiti in zuccheri che possono fermentare e viene prodotto anche un mosto zuccheroso che può essere successivamente aromatizzato con erbe, frutta o molto più comunemente luppolo. Questo processo prevede la cottura del mosto in acqua e un primo filtraggio. A questo punto viene aggiunto il lievito, che dà il via alla fermentazione e quindi alla formazione di alcol e anidride carbonica. La fermentazione può essere, come accennato, più veloce (con lieviti ad alta fermentazione) o più lenta (con lieviti a bassa fermentazione).
Parlando di birra artigianale, a queste fasi segue l’aggiunta o lo sviluppo di anidride carbonica e l’imbottigliamento. Questo perché tale tipologia di birra generalmente non subisce due processi che invece vengono applicati nella produzione industriale dopo la fine della fermentazione: la pastorizzazione e il microfiltraggio.
QUALE BIRRA PREFERISCI?
La principale diversificazione che comunemente viene fatta è quella tra birre a bassa fermentazione e birre ad alta fermentazione.
Tra le birre ad alta fermentazione gli stili più famosi sono Lager, Pilsner, Helles e Bock. Le Lager sono birre di tradizione tedesca: colore chiaro, volume alcolico tra 3° e 5°. Le Pilsner, invece, sono di origine ceca, hanno un colore giallo dorato e un volume alcolico leggermente più alto. Le Helles sono una tipologia di lager con un grado alcolico maggiore e sono prodotte per lo più in Baviera. Mentre le Bock, che devono la loro origine alla città tedesca di Einbeck dove si cominciarono a produrre dal 1300, hanno un volume alcolico tra 6° e 7°, note dolciastre con finale secco.
A queste si aggiungono le Marzen, prodotte usualmente nel mese di marzo per essere poi consumate a ottobre durante l’Ocktoberfest. Le Dunkel, anch’esse tedesche, dal colore ambrato e dal gusto dolce. Le Rauchbier, ancora tedesche, prodotte con malto affumicato con legno di faggio e di colore scuro. Le Shwarzbier, originarie di Turingia e Sasonia, realizzate con malti tostati (generalmente Carafa) e scure. Le Zwickel, Kellerbier più frizzanti e meno luppolate, non filtrate e non pastorizzate. E infine le Zoigl, prodotte storicamente dagli abitanti della regione dell’Alto Palatino nei birrifici comunali.
Tra le birre a bassa fermentazione, invece, si differenziano alcune famiglie. In particolare quella di origine inglese, quella di origine belga e quella di origine tedesca.
Tra le inglesi troviamo le Mild, prodotte a partire dal 1600 sono diventate le birre degli operai perché poco costose e poco alcoliche: scure, dolci e dal corpo leggero. Le Brown Ale, molto simili alle Mild, ma con un grado alcolico più elevato e un inconfondibile colore marrone per l’utilizzo del malto di tipo “Brown”. Le Scotch Ale, birre scozzesi con una gradazione più alta, secche e con un buon sentore di malto. Le Pale Ale, prodotte dall’inizio del 1700, hanno un colore molto chiaro dovuto ad una particolare tecnica di essiccazione del malto. Le Indian Pale Ale (IPA), originariamente erano le Pale Ale destinate all’esportazione in India per le truppe e gli amministratori coloniali dell’Impero britannico: grado alcolico più alto rispetto alle “sorelle” e forte luppolatura per mantenersi meglio durante il lungo viaggio. Le American Pale Ale (APA), versione americana delle IPA nata negli anni ’80 negli Stati Uniti: vengono utilizzati luppoli autoctoni americani, generalmente il Cascade, e negli ultimi anni si sta affermando una sua versione più “estrema”, la New England IPA (NEIPA). Le Porter hanno colore scuro e un volume alcolico molto basso e derivano il loro nome dagli scaricatori di porto di Londra che amavano queste birre prodotte mescolando tra loro diverse tipologie. Le Stout sono discendenti delle Porter e hanno un corpo più intenso e un maggiore sentore di affumicato: il colore è scurissimo e tra i principali produttori si annoverano Guinness e Murphy’s. Le Imperial Stout sono variabili delle Stout, destinate all’esportazione in Russia e quindi più alcoliche e più luppolate. Le Balrey Wine sono birre corpose e ad alta gradazione, lasciate a maturare per diversi mesi in botti di legno. Le Old Ale sono Strong Ale, anch’esse maturate in botte, hanno un carattere barriccato e un coloro scuro. Infine, le Golden Ale hanno colore giallo chiaro, alcol contenuto e sapore amaro e luppolo.
Tra le belghe ci sono le Bionde Ale, basso grado alcolico, luppolate, fruttate e leggermente maltate. Le Saison sono originarie della Vallonia, tradizionalmente prodotta in autunno e inverno per essere consumata dai contadini in estate: dissetante e rinfrescante, ha luppolatura spinta e un odore speziato grazie all’utilizzo di coriandolo o bucce di agrumi in infusione. Le Belgian Pale Ale, prodotte dal 1700 ad Anversa, hanno colore ambrato, aroma fruttato e speziato. Le Dubbel, prodotte originariamente nell’abbazia di Westmalle, hanno colore bruno a causa dell’utilizzo dello zucchero candito e una gradazione intorno ai 7°. Le Tripel hanno colore giallo dorato, alto grado alcolico e finale secco: nacque all’inizio del Novecento quando una legge nazionale vietò la vendita di superalcolici spingendo i produttori a creare una birra che facesse da “sostituto”. Le Blanche sono birre di frumento, hanno colore giallo paglierino e un grado alcolico più contenuto.
Tra le tedesche troviamo le Kolsch, originarie di Colonia, hanno un volume alcolico molto basso e un colore giallo paglierino. Le Altbier, originarie di Dusserdolf, hanno un colore ramato e una gradazione sui 5°. Le Weiss (anche se il nome corretto sarebbe Weizen) sono prodotte con malto di frumento e hanno un colore generalmente molto chiaro, schiuma bianca densa e un tipico odore di banana e chiodo di garofano.
Esistono, infine, gli stili di birra a fermentazione spontanea. Si tratta di birre prodotte utilizzando lieviti che non appartengono né al ceppo Carlsbergensis (bassa fermentazione), né a quello Cerevisiae (alta fermentazione). Vi si annoverano le Lambic, birre acide a bassa gradazione originarie di Bruxelles che vengono prodotte con un mix di malti di frumento, orzo e luppolo e fermentate in botte per almeno un anno. Le Gueuze sono blend di più Lambic, sono soprannominate anche lo Champagne di Bruxelles. Le Faro sono Lambic alle quali viene aggiunto in seconda fermentazione zucchero candito scuro. Le Kriek sono anch’esse Lambic con aggiunta di ciliegie. Le Frambozen, invece, prevedono l’aggiunta di lampone. E per finire le Gose sono originarie della Germania e hanno un sapore sapido per l’aggiunta di sale e acido.
Per quanto riguarda l’Italia negli ultimi anni sono stati riconosciuti due stili di produzione tipici del nostro Paese. Si tratta delle Iga, birre ad alta fermentazione aromatizzate con mosto d’uva. Gradazione variabile dai 4° fino ai 10°, gusto complesso e colorazione tendente al rossiccio. Accanto ad esse ci sono le Italian Pilsner, colore giallo e contenuto grado alcolico, sono prodotte inserendo luppoli a freddo durante la fase di fermentazione e maturazione. Devono la loro nascita ad Agostino Arioli del Birrificio Italiano.
UN PO' DI NUMERI SULLA BIRRA ARTIGIANALE
Come detto, il fenomeno della produzione artigianale di birra è in costante espansione. Seppure i primi quaranta grandi gruppi che adottano metodi cosiddetti industriali costituiscano il 90% della produzione mondiale totale (si va dai 467 milioni di ettolitri della belga AB InBev, che detiene marchi come Budweiser, Corona, Stella Artois, Beck’s, Leffe, ai 2,9 milioni di ettolitri prodotti dalla tedesca Veltins), si contano ormai oltre 17mila birrifici artigianali nel mondo che sfornano birra per un valore arrivato negli ultimi anni a sfiorare i 100 miliardi di euro.
Nella fattispecie, nel 2020 il mercato della birra artigianale è stato valutato in 95,23 miliardi di euro e le previsioni parlano di una crescita fino a 210 miliardi di dollari entro il 2028. Si stima che i posti di lavoro creati dai birrifici artigianali siano aumentati dell’8,3% nel solo 2021. Per quanto riguarda il pubblico di riferimento, l’età media dei bevitori di birra artigianale oscilla tra 35 e 40 anni.
E in Italia? Secondo i dati forniti da Unionbirrai attualmente sono attivi oltre 700 birrifici artigianali e 300 beer firm, cioè marchi che non dispongono di un proprio impianto di produzione e che si appoggiano ad altri birrificio. Numeri di sono più che triplicati tra il 2010 e il 2016. Negli ultimi anni il ritmo di crescita è rallentato, ma pur sempre mantenendosi in positivo.
Tra i principali birrifici artigianali per produzione troviamo Amarcord (Rimini) con circa 40mila ettolitri prodotti annualmente, Baladin (Cuneo) con 25mila ettolitri, Birra Salento (Lecce) con 15mila ettolitri, Tenute Collesi (Pesaro Urbino) con 13mila ettolitri, Flea (Perugia) con 11mila ettolitri, Lambrate (Milano) con 8.200 ettolitri, Birrificio Italiano (Como) con 7.500 ettolitri, Elav (Bergamo) e San Gabriel (Treviso) con 6mila ettolitri ciascuno, Fabbrica Birra Trentina (Trento) con 5.200 ettolitri e Crak (Padova) con 5mila ettolitri.
Ed eccoci giunti al termine di questa rassegna su un mondo complesso, diversificato e in costante evoluzione. Un mondo estremamente affascinante che merita ulteriori approfondimenti. Nella speranza di avervi anche solo stuzzicato la curiosità, non possiamo che lasciarvi con un brindisi: “Salute!”.