In Italia esistono tipi e ricette diverse da regione a regione. Le prime testimonianze di questo piatto risalgono al 1700
La storia degli gnocchi e delle patate si intreccia con l'Europa del XVII secolo, un'epoca in cui il continente fu travolto dai flussi mercantili provenienti dal Nuovo Mondo. Tra le numerose novità introdotte dal continente americano, le patate meritano una menzione speciale, diventando un elemento chiave nelle cucine e nelle diete di popoli di tutto il mondo.
Gli gnocchi, con radici antiche nelle terre del nord Italia, prendono vita proprio durante l'importazione delle patate dall'America, in un periodo segnato da carestia. Le patate, provenienti dal continente americano, diventano il nuovo alimento quotidiano, sostituendo in molti casi il pane. Si integrano nelle farine, dando origine agli gnocchi di patate, un piatto povero che oggi continua a incantare con la sua storia culinaria avvincente.
Nonostante gli agronomi del tardo Rinascimento conoscessero la patata, è grazie alla carestia del 1764 che, nei primi ricettari, compare l’accostamento con la farina. La soluzione iniziale del pane di patate non decolla a causa della sua consistenza che si dissolve con l’umidità, impedendone quindi l'uso nelle zuppe, un piatto molto diffuso all'epoca. Gli gnocchi con patate lessate, invece, trovano successo agli inizi del Novecento.
Alla fine del Settecento, le prime ricette degli gnocchi di patate propongono un approccio nuovo per l’epoca: le patate lessate e schiacciate vengono inserite nella composizione degli gnocchi all'acqua. Per decenni, gli gnocchi di patate incorporano vari ingredienti come tuorli d'uovo, panna, prezzemolo, aglio, ricotta e grasso di vitello.
Nel 1891, Pellegrino Artusi, ricordato come l'inventore della cucina italiana, descrive due ricette: una con patate lessate, schiacciate e impastate con petto di pollo tritato, parmigiano, tuorli d'uovo, farina e noce moscata; l'altra più semplice, solo con patate e farina. Questa versione minimalista, chiamata "gnocchi alla marchigiana" nel 1871, diventa popolare e nel 1908 viene inclusa tra le specialità bolognesi. Nel 1927, il "Talismano della felicità" li riconosce come tipici delle trattorie romane, serviti il giovedì, come da tradizione.
Gli gnocchi di zucca
La zucca, da semplice alimento quotidiano nelle cucine dei nostri nonni, è diventata un ingrediente raffinato nelle prelibate ricette della tradizione culinaria mantovana, protagonista indiscussa di Gnocchi di zucca e tortelli. Gli Gnocchi di zucca, dalla forma rotondeggiante, sono realizzati con zucche dalla polpa farinosa, mentre le varietà leggermente più acquose trovano la loro perfezione nelle minestre e nei risotti.
La leggenda narra che nel XVII secolo, Bartolomeo Stefani, cuoco del Duca di Mantova di origini bolognesi, preparasse questi deliziosi gnocchi utilizzando la zucca gialla del territorio, caratterizzata da una polpa ricca e priva di filamenti. Tuttavia, sembra che la fama degli gnocchi fosse diffusa già da tempo in tutta la regione e che, in occasioni festive, venissero offerti persino ai pellegrini ospitati nelle abbazie e nei monasteri. Un piatto che unisce tradizione e sapore, trasformando la modesta zucca in un autentico tesoro culinario mantovano.
Gli gnocchi alla sorrentina
Gli gnocchi alla sorrentina hanno una storia affascinante che affonda le radici nel Seicento, in una vecchia taverna situata a Sorrento. Il cuoco di questa locanda, colto dalla curiosità verso le patate appena arrivate in Europa, decide di esplorarne le potenzialità. Dopo un'analisi attenta, opta per lessarle, schiacciarle e creare un impasto con l'aggiunta di farina e acqua, rimando stupito dalla morbidezza dell’impasto ottenuto, ma si rende conto che deve essere tagliato in tocchetti tondeggianti per evitare la sfaldatura.
Il condimento per gli gnocchi arriva grazie a un'altra novità botanica dall'America: il pomodoro. Il piatto viene completato con mozzarella d'Agerola, basilico fresco e provolone grattugiato.
In Campania, gli gnocchi sono noti anche come "strangulaprievete", e due ipotesi cercano di spiegare questa denominazione. La prima coinvolge l'economista del XVIII secolo, Ferdinando Galiani, che era talmente appassionato di gnocchi da rischiare di rimanere strozzato.
Tuttavia, la vera origine di questo nome risale al greco, dove con strangulaproevete si intende il risultato dell'unione dei termini stroggulos e preptos, indicando un capo rotondo che è stato incavato con le dita. Una storia di scoperta culinaria che ha portato alla creazione di uno dei piatti più amati della tradizione campana.
Gli gnocchi alla romana
Ma gli gnocchi alla romana che conosciamo oggi sono molto diversi e la loro particolarità è di essere formati da una polentina che, una volta raffreddata e tagliata in pezzi, non viene lessata in acqua, ma passata direttamente in forno con burro e formaggio. Sembra che appaiano per la prima volta ne “Il nuovo cuoco Ticinese” del 1846, un ricettario non esattamente laziale, ma che doveva godere di un punto di vista insolitamente ampio grazie alla sua posizione geografica.
Questa prima versione era composta da farina, latte, tuorli d’uovo profumata con buccia di limone grattugiata. Con lievi differenze (le uova sono intere, scompare il limone ed entra il gruviera) si ritrova ancora agli inizi del Novecento. La semola sostituirà la comune farina solo negli anni ‘30, andando a fissare la ricetta che oggi tutti conosciamo.
I canederli
L’impasto di farina, pangrattato, acqua bollente e uova con aggiunta di latte, mollica, a volte riso, burro e spezie per realizzare gli “gnocchi alla tedesca”, antenati dei moderni canederli. Appaiono inizialmente nell’“Apicio Moderno” di Francesco Leonardi del 1790, sotto forma di piccoli gnocchetti da servire asciutti.
Gli gnudi
La versione classica è quella con spinaci e ricotta, ma sono tante le proposte per realizzare gli gnudi, il piatto tipico della maremma. Si tratta in realtà di una ricetta molto diffusa anche in altre regioni, ma la versione toscana è quella più popolare.
Il loro impasto è molto simile a quello con cui si preparano i ravioli, al punto che Pellegrino Artusi, nel suo "La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene" li chiama proprio così. Ma leggendo attentamente la preparazione non ci sono dubbi che si tratti proprio di gnudi, ossia di un impasto a base di bietole e ricotta senza il classico involucro di pasta all’esterno, che caratterizza i ravioli.
Ed è proprio l'assenza del “vestito” a dare il nome agli “gnudi”: il fatto di non essere rivestiti comporta una maggiore rapidità di esecuzione: non è necessario infatti preparare, stendere e ritagliare la pasta, come si fa per i ravioli.
Questa ricetta, inoltre, diviene popolare nei monasteri medioevali, proprio grazie alla velocità di realizzazione: tra coloro che si dedicavano ai campi, infatti, ingredienti come spinaci, bietole, uova e ricotta non mancavano mai e venivano usati spesso anche perché erano molto nutrienti.
Gli spätzle
Gli spätzle nascono in Germania e si diffondono a partire dal medioevo come piatto molto nutriente e ricco. Inizialmente vengono utilizzati come contorno a piatti di carne e ancora oggi in Germania sono considerati un secondo piatto preparato bianco. Gli ingredienti base includono farina e formaggi come la ricotta.
Questo piatto si diffonde anche nelle zone circostanti, come Austria, Svizzera e Trentino Alto Adige, soprattutto grazie ai vari domini tedeschi. In Alto Adige, in particolare, gli spätzle vengono consumati come primo piatto. Hanno una forma allungata e possono essere sia bianchi che verdi (aggiungendo gli spinaci), conditi con burro, panna e speck.
Gli spätzle cambiano nome a seconda del luogo di produzione, ma non solo: variano anche nella forma e nel metodo di preparazione.
I malfattini o maltagliati romagnoli
I malfattini o maltagliati romagnoli sono un tipico piatto dell’Emilia Romagna, la cui base è pasta all’uovo. Si chiamano così, perché, come aspetto, si presentano tagliati in maniera irregolare e disomogenea.
I pisarei
Come per gran parte delle ricette della cucina regionale italiana, anche la storia dei e fasò affonda radici in un lontano passato, si pensa addirittura al Medioevo, quando i pellegrini in transito per Piacenza lungo la via francigena, erano soliti sostare presso i refettori gestiti dai frati, in grado di sfamare i viaggiatori con ingredienti considerati poveri ma ricchi di calorie e di gusto, oltre che molto nutrienti. Durante i secoli bui si usavano i fagioli di tipo dolico e non vi erano i pomodori, ingredienti che saranno introdotti in Europa solamente dopo i viaggi di Cristoforo Colombo nelle nuove Americhe.
Avvolta da un’aura di mistero anche l’origine del nome. Sono due le varianti più accreditate. Secondo la prima versione si tratterebbe di una derivazione dal termine dialettale “bissa” (biscia) che traerebbe origine dalla striscia di pasta a forma di biscia che si prepara prima di tagliarla in tanti gnocchetti, appunto i pisarei.
Secondo l’altra, più in voga, si suggerisce una derivazione dal verbo spagnolo “pisar” (schiacciare) e in questo caso il riferimento sarebbe alla pressione che si pratica con il pollice per conferire ai pisarei la loro tipica forma con il taglio in mezzo. E su questa operazione manuale così decisiva per la preparazione dei pisarei si tramandano aneddoti leggendari. Su iniziativa della Regione Emilia Romagna, i pisarei e fasò sono stati censiti a livello nazionale come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali (P.A.T.) e tipici del piacentino.