Calabria e soppressata, dalle origini alle varianti regionali

Nasce in un contesto rurale, in cui il maiale rappresentava una risorsa preziosa da sfruttare in ogni sua parte. Il nome deriva dal verbo “soppressare”, ovvero pressare.


  • 2 giorni fa

Dalla punta dello Stivale arriva un prodotto che racchiude in sé storia, carattere e passione: la soppressata calabrese. Non è soltanto un salume, ma una vera e propria dichiarazione d’identità gastronomica.

In ogni fetta si ritrovano i sapori intensi di una terra aspra e generosa, i profumi di tradizioni contadine che si sono tramandate nel tempo e la forza simbolica di una cultura che fa dell’artigianalità un valore.

In questo articolo, ti accompagnerò alla scoperta della soppressata calabrese: dalle sue origini rurali alle varianti regionali, dal metodo di produzione fino agli abbinamenti migliori per esaltarla. Scopriremo perché questo insaccato ha conquistato non solo le tavole calabresi, ma anche il palato degli appassionati di salumi in tutta Italia e oltre.

Origini e significato del nome

La soppressata calabrese nasce in un contesto rurale, in cui il maiale rappresentava una risorsa preziosa da sfruttare in ogni sua parte. Il nome deriva dal verbo “soppressare”, ovvero pressare, e si riferisce alla tradizione di schiacciare l’insaccato durante la stagionatura per conferirgli una forma più compatta e irregolare.

In alcune zone, si utilizza anche il termine “suppizzata”, legato all’usanza di appendere il salume in alto, nelle cucine o nei fienili, durante l’essiccazione.

Ingredienti selezionati e lavorazione artigianale

Per ottenere una soppressata autentica e di alta qualità, si utilizzano tagli nobili del maiale come la coscia e la lonza, macinati a grana media. La carne viene poi insaporita con sale, pepe nero e peperoncino calabrese – spesso coltivato localmente e utilizzato anche in celebri specialità della stessa regione – che dona al prodotto la sua caratteristica nota piccante.

Il composto così ottenuto viene insaccato in budello naturale, legato a mano e lasciato asciugare lentamente. In alcune zone si pratica anche una leggera affumicatura, spesso realizzata bruciando legno d’ulivo o scorze d’agrumi, prima della fase di pressatura. La stagionatura può durare da uno a sei mesi, a seconda del clima e delle tradizioni familiari.

Varietà regionali e tutela del marchio DOP

Esistono diverse versioni della soppressata calabrese, alcune più dolci, altre estremamente piccanti, secondo i gusti e le abitudini locali. Nel 1998, la soppressata di Calabria ha ottenuto il riconoscimento DOP a livello europeo.

Questo marchio certifica che il prodotto viene realizzato in un’area geografica precisa, secondo disciplinari rigorosi che tutelano la ricetta originale e garantiscono l’autenticità delle materie prime utilizzate.

Ottenere la DOP significa che ogni fase, dalla scelta della carne alla stagionatura, è sottoposta a controlli attenti, per offrire un salume che non solo è buono, ma anche profondamente legato alla sua terra d’origine.

Come gustarla: usi e abbinamenti

La soppressata calabrese si presta a essere gustata in mille modi. È perfetta come antipasto rustico, accompagnata da pane casereccio e formaggi stagionati, ma può anche valorizzare primi piatti o pizze gourmet. Il suo gusto deciso si abbina splendidamente a vini rossi corposi, che ne esaltano il sapore senza coprirlo.

In Calabria è spesso protagonista delle tavolate festive, tagliata a fette spesse e condivisa con amici e parenti: un gesto che va oltre il cibo e diventa rito sociale.

Un tesoro gastronomico da tramandare

Oltre al suo sapore, ciò che rende la soppressata calabrese davvero speciale è la sua valenza culturale. Ogni salume racconta una storia: di famiglie riunite per la macellazione del maiale, di nonne che tramandano ricette a figli e nipoti, di paesi dove la lavorazione della carne è ancora fatta a mano, con pazienza e orgoglio.

Valorizzare la soppressata calabrese significa preservare un pezzo di memoria collettiva, un simbolo della Calabria più autentica, che continua a vivere grazie al lavoro dei piccoli produttori e all’interesse crescente verso i sapori salati della tradizione regionale.

 


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