Roma, certo. Ma non solo. Anche nella cucina, e in particolare in quella da consumare in strada, il Lazio offre una vastissima gamma di specialità che vanno dal mare ai monti, dalle campagne fino alle città. Da quella eterna ai centri minori. A contraddistinguere la cucina laziale sono i sapori decisi e intensi. Una forza che contraddistingue tanto i cibi da tavola quanto quelli da strada. Basti pensare a pietre miliari come Amatriciana, Gricia, Cacio e Pepe, Coda alla Vaccinara, Abbacchio, solo per citarne alcune.
Ricette semplici e “povere”, spesso preparate con ingredienti di recupero, che nascono dal popolo per il popolo direbbe qualcuno. Eppure frutto della commistione tra le influenze, le culture e le genti che da questa terra da sempre al centro della storia e dell’umanità sono transitate e hanno lasciato traccia.
Lo street food laziale impersona tutte queste caratteristiche, potenziandole se si vuole e mantenendo una propria autonomia. Il cibo di strada qui non è un vezzo, una moda. Ma un vero e proprio elemento distintivo, una tradizione, un modo di essere e di vivere. E per chi visita questa regione una maniera diversa di scoprire le sue bellezze, tra castelli e luoghi incontaminati, borghi e Urbe.
Ecco allora una lista delle specialità da strada che sarebbe un peccato capitale - è proprio il caso di dirlo - perdersi.
Panino con la porchetta
Ecco, usciamo subito dalla città di Roma per incontrare un must dello street food laziale. Il fiore all’occhiello dei Castelli Romani - e in particolare del borgo di Ariccia - è proprio lei, la porchetta. Un prodotto conosciuto ovunque, che dal 2011 gode peraltro del riconoscimento di IGP. Conteso, per paternità con umbri e marchigiani, la porchetta è un grande classico della cucina laziale. Immancabile, appunto, nelle fraschette dei Castelli, dove spesso viene proposta per così dire “in purezza”. Ma il vero tripudio è in mezzo ad un panino, consumata mentre si passeggia o seduti su un gradino in mezzo ad una piazza dal sapore antico.
La porchetta viene ricavata dalla scrofa e in particolare dalla sua parte centrale, detta “tronchetto”. La carne, una volta pulita viene cosparsa di sale e specie e quindi fissata ad un apposito bastone di metallo, legata e arrostita a bassa temperatura tra le tre e le sei ore. Con la sua crosta croccante, affettata rigorosamente a mano e pronta per farcire il panino.
Filetti di baccalà
Sicuramente uno street food meno conosciuto del panino con la porchetta, ma anch’esso non meno radicato nella storia e nella cultura laziale. Vera e propria istituzione della cucina romana, in particolare, affonda le sue radici nella tradizione della comunità ebraica romana. Non a caso il più famoso rivenditore di Roma - “Il Filettaro di Santa Barbara ” - sorge proprio alle spalle del Ghetto ebraico.
Il filetto di baccalà viene immerso nella pastella, realizzata mischiando acqua frizzante e farina, e successivamente fritto in olio bollente. Può essere servito come antipasto o inserito in un piatto di fritto misto alla romana, ma molto richiesto come vero e proprio street food da consumare sporcandosi le mani mentre si passeggia sul Lungotevere, nei Fori Imperiali o nel centro della Città eterna.
Supplì
Ed eccoci ad un altro punto ferma nel panorama del cibo da strada laziale e nella fattispecie romano. Leggenda vuole che il termine supplì derivi dal francese surprise: sarebbe stato un soldato francese a passeggio per le vie di Roma a stupirsi del ripieno di mozzarella del manicaretto che stava addentando esclamando appunto “Surprise”. Termine che poi è stato storpiato nel romanesco “Supplì”. Di sicuro i francesi hanno a che fare anche con la sua diffusione a Roma, avendo portato le tradizioni siciliane (e quella dell’Arancina o Arancino) proprio durante la risalita dell’Italia in epoca napoleonica.
Al netto dell’origine del nome, questo capolavoro di forma ovoidale realizzato friggendo una palla di riso ripiena di ragù di carne e mozzarella è stato inventato nell’Urbe ai primi dell’Ottocento. Venduto per strada durante le feste di quartiere, le fiere, al mercato o agli angoli delle strade, fece la sua comparsa sui menù dei ristoranti - o meglio delle trattorie della città - a partire dagli anni Settanta del medesimo secolo. La prima ricetta scritta è attribuita ad Ada Boni, che la nel 1929 redige nel suo “La cucina romana”. Nel corso dei decenni ne sono nate diverse varianti: da quello con sugo finto, cioè senza carne, a quello con interiora di pollo, da quello con funghi a quello con carne in umido.
Pizza a taglio
Questa tipica variante della pizza esplode nella Capitale alla fine degli anni Cinquanta. Grazie all’innovazione di alcuni pizzaioli, in cerca di un maggiore guadagno e di un modo per recuperare gli avanzi di impasto, la pizza a taglio si è diffusa come abitudine da strada. Diversa da quella napoletana, perché croccante fuori e morbida dentro. Può essere bianca - caratterizzata da lievitazione meno prolungata e alveoli accentuati, sottile e leggera - oppure rossa con alici e mozzarella o ancora farcita con mortadella (o meglio, “mortazza”).
Negli anni è diventata uno degli street food più apprezzati e ha subito moltissime evoluzioni. Tra le ultime quella impressa da un vero maestro dell’arte bianca, Gabriele Bonci, che ha esportato in tutta Italia lo stile della pizza a taglio romana.
Trapizzino
Rimanendo in tema, tra i cibi da strada laziali non possiamo non citare il Trapizzino. Uno degli ultimi nati tra gli street food, ha subito una repentina ascesa che l’ha portato presto oltre oceano sbarcando a New York. Nato dall’estro di Stefano Callegari, il Trapizzino è una tasca di pizza dalla forma triangolare, croccante all’esterno e soffice all’interno. Viene servito farcito con i sughi della tradizione: dal pollo alla cacciatora alla trippa alla romana, dalla parmigiana alla lingua in salsa verde, dalla burrata e alici alle polpette al sugo.
Si tatta di una via di mezzo tra la pizza e un sandwich farcito. L’idea di fondo è quella di unire la ricchezza della cucina tradizionale romana con la facilità di consumo di un cibo da strada.
Pinsa
In materia di arte bianca è impossibile non citare un altro prodotto che ha sfondato i confini laziali e che si sta affermando ovunque, in Italia e non solo. La cosiddetta “Pinsa romana” è una rivisitazione di un’antica ricetta che risale ai tempi dell’Antica Roma. Proprio le famiglie contadine che viveva fuori dalle mura macinavano cerali (miglio, orzo e farro) e realizzavano particolari focacce aggiungendo erbe aromatiche. Addirittura di questo particolare alimento parla anche Virgilio nell’Eneide.
Il termine Pinsa deriva dal latino “Pinsere”, cioè allungare, schiacciare. La sua forma è ovale, ha consistenza friabile - croccante fuori e morbida all’interno - ed è particolarmente digeribile grazie alla lunga lievitazione e all’alta percentuale di acqua utilizzata.
Tiella di Gaeta
Usciamo di nuovo dai confini della Capitale e dirigiamoci a sulla costa. Qui ha origine la celebre Tiella di Gaeta, una particolare pizza rustica ripiena. Niente - o poco - a che vedere con la nota Tiella barese, a base di riso, patate e cozze.
Quella di Gaesta, infatti, vien farcita spesso con polpo oppure in forma vegetariana con la scarola. Ma può contenere anche alici, baccalà o ancora calamari. Apparentemente sembra una torta salata, ma in realtà non lo è. Una delle costanti, oltre ad un impasto simile a quello della Pinsa, è anche l’utilizzo delle olive di Gaeta, che hanno forma piccola e colore violaceo.
La tiella nasce come piatto tipico di contadini e pescatori, grazie alla sua conservabilità. Tanto da essere esportata in mezzo mondo grazie agli emigranti italiani in cerca di fortuna in America o in Nord Europa.
Grattachecca
Più che uno street food, un vero e proprio emblema dell’estate romana e di tutto il Lazio. Si tratta di una granita realizzata grattando il ghiaccio di un singolo blocco di grandi dimensioni e aggiungendo dello sciroppo di frutta.
Il termine deriva dal verbo grattare e dalla parola checca, con cui si identificano i blocchi di ghiaccio utilizzati per refrigerare gli alimenti prima dell’avvento dei frigoriferi. Di chioschi adibiti alla realizzazione e alla vendita della grattachecca sono piene le città laziali già all’inizio del Novecento. Con il tempo, va detto, l’usanza di grattare il ghiaccio a mano è diventata sempre più rara, in favore di modi più veloci e meno faticosi.
Maritozzo
Un must della tradizione gastronomica romana, la variante più diffusa è quella dolce con panna montata. Dolce da strada, venduto anticamente nel periodo quaresimale, che è arricchito con uvetta, pinoli e canditi. Era considerato uno dei pochi strappi alle regole religiose imposte durante questo particolare periodo.
La sua origine comunque è antichissima, secondo molti addirittura risalente all’Antica Roma. Questi piccoli pani dolci, infatti, si tramanda che fossero il tipico regalo fatto alle donne in procinto di sposarsi proprio dal promesso marito. Da qui deriverebbe anche il nome “maritozzo”. La particolarità è che dentro questo dolce veniva inserito un adesso o un monile d’oro come dono matrimoniale.
La ricetta originale prevedeva un impasto di farina, uova, miele, burro e sale. Mentre oggi si utilizzano acqua, farina, lievito, zucchero, latte e olio. La sua diffusione ha fatto sì che chef di mezzo mondo rivisitassero questo cibo creandone varianti anche salate.
Crostata con le visciole
Dolce tipico della pasticceria romana, rappresenta un altro capolavoro immancabile tra gli street food laziali. La sua tradizione è ebraica ed è realizzato con le ciliegie selvatiche, che hanno un sapore più aspro, chiamate appunto visciole. Un guscio morbido di pasta frolla, all’interno del quale si trova un ripieno doppio di crema di ricotta di pecora e di marmellata in pezzi di visciole. Anche se non mancano coloro che sostengono che nella ricetta originale si utilizzassero le visciole fresche. Non a caso, sono rinomate quelle realizzate nella zona del quartiere ebraico di Roma e una fetta è perfetta per terminare l’itinerario dello street food laziale.
Leggi l'articolo completo su Deliziosooo.it