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Come si prepara il Gran Bollito alla piemontese?

Vi sveliamo i segreti di questo piatto che entrò a far parte della tradizione gastronomica del Piemonte addirittura nel 1887

Lucia Cerrato

La carne è da sempre sinonimo di ricchezza materiale in molte culture. Il Gran Bollito alla Piemontese incarna un’esperienza completa: si presta perfettamente a degustazioni prolungate, intervallate da conversazioni e bicchieri di vino rosso. Il Gran Bollito alla Piemontese, quindi, rappresenta la quintessenza della convivialità, particolarmente nelle fredde giornate invernali e in compagnia di buoni amici.

LA STORIA DEL GRAN BOLLITO ALLA PIEMONTESE
Il bollito trae le sue origini dal brodo, da quelle abbondanti zuppe che cuocevano nei paioli vicino al calore del camino, a volte per un'intera giornata, con pezzi di carne occasionalmente aggiunti. Mentre il brodo è sempre stato considerato benefico grazie alla sua consistenza liquida e nutriente, la carne risultante veniva consumata più per evitare sprechi che per un autentico apprezzamento gastronomico. Era spesso utilizzata in ricette di recupero, come la pasta ripiena e le polpette. Dobbiamo riconoscere il merito della prima massaia che ebbe l'idea di immergere la carne nell'acqua già bollente, definendo così la sottile differenza tra lesso e bollito. Questo approccio sembrava piacere particolarmente al conte di Cavour, legato al prestigioso ristorante Del Cambio (conosciuto principalmente per il croissant cubico di cui abbiamo parlato già nel nostro sito) e al primo re d'Italia. Quest'ultimo, secondo ciò che ci è stato tramandato, era noto per i suoi gusti informali, disprezzava infatti la formalità della Corte di Torino, definendola "bigotta e noiosissima". Pare, quindi, che Vittorio Emanuele II preferisse scappare dalla tavola formale di corte, per godere del piacere di un bollito accompagnato da barbera e barolo. L'anno 1887 rappresenta l'ingresso ufficiale del Gran Bollito Misto nell'olimpo della tradizione gastronomica piemontese grazie al trattato "Cucina borghese. Semplice ed economica" del celebre cuoco della Real Casa, Giovanni Vailardi.

LA REGOLA DEI SETTE
La ricetta tradizionale del bollito misto alla piemontese richiede l'utilizzo di sette tagli di carne e sette frattaglie, cotti separatamente in acqua bollente salata con verdure e spezie.
I sette tagli
Il bollito è una prelibatezza che molti italiani adorano, ma oggi ci concentreremo sulla versione piemontese. Ogni famiglia ha la sua versione segreta, ma qual è il giusto taglio di carne da utilizzare?
Il Gran Bollito alla Piemontese è un piatto a base di vari tagli di carne che vengono cotti a fuoco lento e serviti con verdure e salse. La ricetta tradizionale richiede:
    •    Scaramella (biancostato di reale, parte superiore del reale)
    •    Punta di petto
    •    Fiocco di punta
    •    Cappello da prete (parte superiore della scapola con muscoli)
    •    Noce (muscolo della coscia)
    •    Tenerone (muscolo lungo della spalla, attraversato dalla cartilagine)
    •    Culatta (parte superiore della groppa tra sottofiletto e coscia)

COME PREPARARE IL BOLLITO MISTO ALLA PIEMONTESE
Per preparare il Gran Bollito alla Piemontese, i sette tagli di carne vengono cotti separatamente in acqua bollente salata con cipolla, sedano, carota, spicchio d'aglio intero (da rimuovere) e un rametto di rosmarino.
Le sette frattaglie
Le carni devono essere accompagnate da sette frattaglie:
    •    Gallina
    •    Testina
    •    Zampino
    •    Lingua
    •    Lonza
    •    Coda
    •    Cotechino
Oggi la preparazione è molto più veloce e molti utilizzano solo tre tagli di carne, cuocendoli tutti insieme.


I SETTI BAGNETTI
Le salse della tradizione:
    •    Il bagnetto verde si prepara con prezzemolo e acciughe.
    •    La bagnèt ross, nota come salsa rossa piemontese, è pensata per pulire il palato e valorizzare i tagli meno nobili nel bollito misto. A base di pomodoro, aceto, basilico, peperoncino e acciughe, non deve sovrastare gli altri sapori, soprattutto quello della carne.
    •    La salsa delle api, conosciuta anche come salsa avije, è una preparazione caratterizzata da ingredienti come miele, noci e senape. Si sposa bene con le carni grasse del vitellone nel bollito tradizionale e risulta altrettanto deliziosa con carni bianche come pollo e gallina.
    •    La mostarda d’Uva o Cognà è una salsa tipica della tradizione piemontese, risalente al medioevo, prodotta nel Monferrato alessandrino e casalese (Mostarda d’Uva), nell’astigiano e nel cuneese (Cognà). L’elemento distintivo è la sua consistenza densa, simile ad una confettura. Le uve più comunemente utilizzate per il mosto sono barbera, dolcetto, nebbiolo e moscato
    •    Il cren, o rafano, è una radice che cresce spontaneamente in diverse regioni italiane, dalle pianure alle montagne a quote basse. Presente anche a sud, sebbene raramente, come nel Lazio e nella Basilicata, prospera negli orti e nei terreni freschi. La salsa di Cren, benché meno nota di altri condimenti per carne, è una ricetta tradizionale apprezzata per accompagnare bolliti e arrosti, ideale per

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